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Le mani di Russia e Turchia sulla Libia
Russia e Turchia vogliono spartirsi la Libia, ma a Sirte si continua a combattere. Se l’Europa non interviene, Ankara e
Mosca
resteranno sole sulle macerie.
Le mani di Russia e Turchia sulla Libia
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Mosca
resteranno sole a danzare sulle macerie. Russi e turchi sono pronti a spartirsi la Libia e a esercitare la loro crescente influenza nel Mediterraneo Occidentale. È questo che dicono le manovre aeronavali turche a largo delle coste libiche e lo schieramento dei jet russi nella base di Jufra che, secondo alcuni, hanno parzialmente sostituito i mercenari della Wagner. Ankara vuole stabilirsi in Tripolitania,
Mosca
punta a farlo in Cirenaica. A questo sta portando la rottura dell’assedio su Tripoli da parte del Generale Khalifa Haftar e i successi dell’esercito guidato dal Governo di Accordo nazionale (Gna) di Fayez al-Serraj. Successi ottenuti grazie al fondamentale sostegno turco contro il generale ribelle finanziato da Arabia Saudita ed Egitto, e armato da Emirati Arabi Uniti e
Mosca
. Ma dopo mesi di una campagna militare impantanata, la Russia ha ritirato il suo supporto decidendo di negoziare con Ankara i futuri assetti del paese e le relative zone di influenza. Tutto è dunque deciso? Non ancora, perché ci sono temi su cui i due paesi, entrambi impegnati in Libia, si trovano su sponde decisamente opposte: la Russia vuole fermare l’avanzata delle forze di Tripoli prima che raggiungano Sirte e, soprattutto, vuole garantirsi un avamposto militare in Cirenaica. Ankara frena, e dalla sua posizione di forza cerca di assicurarsi la base di Al Watyah e il porto di Misurata, rispettivamente a ovest e a est di Tripoli. Dagli equilibri che si raggiungeranno dipende l’assestamento della Libia di domani che, ancora una volta, non si deciderà né a Tripoli né a Bengasi. Verso un accordo?L’assedio di Sirte e le divergenze tra russi e turchi costituirebbero lo scoglio su cui è naufragato il vertice a livello di ministri degli Esteri e della Difesa, in programma domenica scorsa a Istanbul. Tra i punti di rottura, non ci sarebbe invece il ruolo per Khalifa Haftar, che Ankara vuole escludere e che anche
Mosca
sembra ormai voler accantonare a favore di un rappresentante più ‘presentabile’ e gestibile. Altre divergenze riguarderebbero la attuale “iniziativa del Cairo” promossa dal presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, che continua a sostenere militarmente Khalifa Haftar per difendere i suoi interessi sul confine occidentale. Ma la proposta egiziana che prevede la costituzione di un nuovo Consiglio presidenziale, estrometterebbe di fatto i turchi da ogni attività politica. La Russia ha salutato il passo con favore mentre Ankara ha detto di sostenere qualsiasi iniziativa per la pace “ma dipende da chi la fa e perché”. Europa in ritardo?Davanti a tanti sviluppi l'Unione Europea appare in ritardo, con
Roma
e Parigi ancorate su posizioni e interessi opposti, e Bruxelles che non riesce a far rispettare l’embargo sulle armi con la nuova missione Irini. Presto o tardi però, toccherà fare i conti con Erdogan su energia, sicurezza e immigrazione. Sul piano militare, inoltre, “non si può continuare a far finta che il problema Turchia non esista” dice alla Reuters un alto grado della Difesa francese. Parigi, che ha sempre velatamente sostenuto Haftar, è la capitale europea più vocale nel suo dissenso, ma tutti chi più chi meno si chiedono se la creazione di basi russe nel Sahara aprirà un fronte africano della nuova Guerra Fredda con la Nato. Al momento, pochi sono i dubbi sul fatto che l'unico vincente della guerra civile in Libia è Erdogan, anche grazie al sostegno finanziario del Qatar. Se i turchi invocano legami ottomani con Tripoli per giustificare il loro profondo coinvolgimento nel conflitto, il principale dividendo per Ankara è stato finora il contestato accordo con il governo di al-Serraj sui diritti di esplorare e trivellare
petrolio
nel Mediterraneo orientale. Una pesante eredità della guerra di Libia che promette di complicare ulteriormente i rapporti tra la Turchia e i paesi europei. E gli Stati Uniti?L’ultimo in ordine di tempo a invocare un intervento statunitense in Libia è stato il presidente francese Emmanuel Macron, che ha definito “inaccettabile” il atteggiamento della Turchia, le cui navi incrociano nel sud del Mediterraneo. Prima di lui, il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov aveva detto di auspicare che Washington sfrutti la sua influenza per contribuire al raggiungimento di una tregua. E nei giorni recedenti Recep Tayyep Erdogan aveva detto di aver avuto un colloquio telefonico con Donald Trump sulla Libia e di essersi trovati d’accordo “su diversi punti”. Ufficialmente gli Stati Uniti sostengono Tripoli ma Trump ha inviato segnali contrastanti mantenendo aperti i canali con Haftar, che per anni è stato preziosa risorsa della Cia contro
Gheddafi
. L’attuale amministrazione americana, tuttavia, è sembrata sorda finora ai richiami di chi la invitata a guardare verso la battaglia per il potere che si combatte lungo le coste nordafricane. Eppure nello scenario peggiore, quello di una spartizione del paese in aree di influenza, un condominio russo-turco in Libia costituirebbe niente di meno che una minaccia sul fianco meridionale della Nato. Il commentoDi Giampiero Massolo, Presidente ISPI “All’Italia, lo stallo e la partizione di fatto del Paese chiaramente non convengono. Per ovvi interessi che riguardano soprattutto la Tripolitania, ma anche, spesso sottaciuti, la Cirenaica – per i nuovi equilibri strategici ed energetici nel Mediterraneo – e il Fezzan, per i
flussi
di persone da sud e i pericolosi insediamenti jihadisti. È per noi quindi il momento di giocare, con realismo e a tutto campo, le nostre carte residue. Si tratta di prepararci a ogni eventualità, minimizzare il danno dello stallo di oggi e cercare di posizionarci per un futuro rilancio del dialogo politico tra le parti libiche.” (Continua a leggere l'articolo) *** A cura della redazione di ISPI Online Publications (Responsabile Daily Focus: Alessia De Luca, ISPI Advisor for Online Publications) Ti potrebbero interessare anche: Cristiani in Iraq: minoranza a azzardo estinzione? Bells and Minarets: Pope Francis in Iraq Biden e il Medio Oriente: le linee rosse per il "reset" Annalisa Perteghella ISPI Research Fellow and Scientific Coordinator of Rome Med Dialogues Arabia Saudita: i fronti aperti del regno Guido Olimpio Corriere della Sera Il raid USA in Siria I gruppi armati pro-Iran in Medio Oriente Tags Libia MENA Iscriviti alla Newsletter Daily Focus SEGUICI E RICEVI LE NOSTRE
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